Giovani israeliani: soldati, pacifisti, fattoni e refusenik... il 4 febbraio esce in libreria la mia creatura Karma Kosher I giovani israeliani tra guerra, pace, politica e rock’n’ roll (Marsilio, 176 pp, 13 euro)Per sapere di più del libro, guardate qui http://annamomigliano.com/libro.phpPer la presentazione, cliccate guardate qui.17 febbraio ore 18Feltrinelli di Milano (quella di via Piemonte)Ecco una breve recensione sull'Ansa:(ANSA) - ROMA, 30 GEN - ANNA MOMIGLIANO: 'KARMA KOSHER' (MARSILIO; PP. 176) - 'Ha buah', in ebraico 'bolla': forse la migliore definizione per una città come Tel Aviv, ma si può tranquillamente applicare, per estensione, all'intera Israele. Perché, come la città, è in realtà un paese in larga parte ignoto: nascosto da decenni di guerra, intrappolato in un furore ideologico pro o contro, nazione da molti considerata rifugio, luogo simbolo di tre religioni, Israele è tutto tranne quello che uno ha in testa prima di visitarlo. Basti pensare che l'età media di un israeliano è trenta anni. Anna Momigliano scandaglia benissimo una delle molte facce dello stato ebraico: quel calderone fatto di droghe, musica new age, filosofia pseudo-buddista e lunghi soggiorni in India, che catalizza una buona parte della gioventù israeliana in fuga dall'esercito (tre anni per gli uomini, due per le donne), dalla guerra, dalla continua tensione. Solo nel paese asiatico si dice ci siano circa 40 mila neoveterani, tanto che una delle spiagge più acclamate di Goa (un tempo isola dei 'figli dei fiori') si chiama Tel Aviv Beach e vi si svolgono rav party leggendari. All'uscita dal loro Vietnam, i giovani israeliani partono (chi per un mese, chi per un anno) per quello che è diventato una sorta di rito collettivo: scrollarsi di dosso angoscia, paura, morte, attentati. Per estensione 'Karma kosher' è diventato anche l'universo dei giovani israeliani: un mondo sospeso tra tradizione e trasgressione, tra il desiderio di libertà e un fortissimo attaccamento all'identità nazionale e non importa se si è laici o religiosi (discorso a parte gli ultraortodossi). C'é anche un'altra parola che rappresenta bene questo fenomeno: 'balagan'. Un aggettivo/o sostantivo che indica tutto ciò che è caotico e difficilmente migliorabile: o meglio, la presa di atto di una situazione che nella sua "liquidita" non cambierà. La si può usare per varie facce della realtà di Israele, ma di fondo è una rassegnazione - ad occhi aperti - ad un perenne stato di cambiamento e precarietà. D'altronde Etgar Keret, uno scrittore molto attento alle onde profonde della società, ha spesso detto: "se una bomba atomica deve cadere da qualche parte in questo mondo, molto probabilmente cadrà in Israele. E' un paese così piccolo, appena un puntino sulla mappa, ma è anche il puntino più probabile per un attacco atomico nel futuro". Un sensazione di insicurezza che rende spesso l'esistenza effimera e anche il futuro ancora più incerto. In Israele non esiste una letteratura ebraica di fantascienza: Keret dice che non è un tabù domandarsi che aspetto avrà Israele nel futuro. Sia come sia Momigliano è molto brava nel percorrere i saliscendi della psicologia collettiva israeliana e fa bene a limitarsi - purtroppo - al presente: " perché - scrive lei stessa - tra le guerre, gli attentati, la nevrosi collettiva e le piccole assurdità quotidiane, non esiste al mondo un posto vivo, disperatamente attaccato alla vita e alla gioia di vivere, come Israele".(ANSA).